Sono 3.422 le aziende italiane confiscate perché in mano a esponenti della criminalità organizzata di stampo mafioso. Di queste ben 1.045 hanno sede in Sicilia, soltanto 19 quelle che operano in provincia di Messina. Questo il dato dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, relativo alla fine di dicembre 2024.

Delle aziende siciliane, 382 su 1.045 risultano ancora attive mentre sono 261 quelle sottoposte a procedure concorsuali varie. Per quanto concerne la forma, spiccano 637 società di capitali e 283 imprese individuali.
La mafia continua a investire soprattutto sul mattone e nel lauto settore dei lavori pubblici, tanto che 321 sono le imprese del settore costruzioni su cui lo Stato ha messo le mani, a cui se ne aggiungono 93 impegnate nel campo immobiliare. Seguono quindi 233 aziende del commercio, 99 ditte manifatturiere, 69 del comparto agricoltura e pesca e 50 del settore turistico, fra alberghi e ristoranti.

Imprese confiscate nel Messinese – Delle 19 aziende (alcune ormai cessate) del Messinese in odor di mafia finite in mano allo Stato, ben 8 sono imprese di costruzione, di cui 2 con sede a Barcellona Pozzo di Gotto e le altre a Letojanni, Capizzi, Roccella Valdemone, Rometta, Pace del Mela e Mazzarrà Sant’Andrea. A queste si aggiungono una ditta di frantumazione pietre e minerali di Messina e una dedita al trasporto merci con sede a Terme Vigliatore. Per quanto concerne il commercio, risultano confiscate 2 aziende a Barcellona, una a Messina e una a Giardini Naxos. Interessi criminali anche nel campo della ristorazione, con tre locali a Milazzo, Giardini Naxos e Messina finiti nel mirino, cui si aggiunge un bar con sede a Messina. Confiscata, infine, anche una ex palestra sempre a Messina.
Infiltrazione della mafia – Un ottimo risultato? Sicuramente un passo avanti importante, ma non si può certo essere del tutto soddisfatti. Almeno stando ai dati del Centro Studi Cgia di Mestre, secondo cui in Sicilia sarebbero circa 14.000 le imprese direttamente controllate o comunque vicine a cosa nostra. Ben il 3,6% del totale complessivo. Si tratta però soltanto di una stima. L’inquinamento dell’economia legale attraverso ingenti capitali da ripulire e riciclare è un fenomeno tristemente noto in tutta Italia. Secondo il Centro studi della Cgia di Mestre, le mafie sarebbero infatti la quarta forza economia del Paese con un volume d’affari stimato in 40 miliardi di euro (2 punti del Pil), collocandosi così dietro a colossi come Eni (93,7 miliardi di euro), Enel (92,9 miliardi) e Gestore dei Servizi energetici (55,1 miliardi). Un dato tuttavia sottostimato proprio perché non è possibile misurare anche i proventi riconducibili all’infiltrazione di queste realtà nell’economia legale.
Secondo l’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) della Banca d’Italia, a cui vanno segnalate le operazioni finanziarie sospette, che ha incrociato i propri dati con quelli della Direzione Nazionale Antimafia e dall’Autorità giudiziaria, sarebbero almeno 150mila le imprese italiane potenzialmente controllate o collegate a vario titolo alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Il 34 per cento ha sede a Napoli (18.500), a Roma (16.700) e a Milano (15.650). Seguono a distanza Caserta con 5.873 imprese, Brescia con 4.043, Palermo con 4.016, Salerno con 3.862, Bari con 3.358 e Catania con 3.291.
La Sicilia, dunque, non è tra le realtà messe peggio. Le mafie puntano i mercati più ricchi, quindi è il Nord a subire la maggiore pressione. Nell’Isola, la realtà più soggetta alla pressione mafiosa si conferma Palermo con 4.016 imprese a rischio infiltrazione, seguita da Catania con 3.291 aziende, Trapani con 1.534 e Messina con 1.327. Oasi felice, in questi casi si fa per dire, Enna con 366 aziende.
Lunga, lunghissima e anche tortuosa è dunque la strada ancora da percorrere per arrivare a colpire davvero l’unico vero interesse a cui la mafia non può proprio rinunciare: il portafoglio.
(Ettore Iacono)



