La morte è un altro stato della vita, che è eterna: noi, ci dice il Signore, apparteniamo alla eternità (siamo da sempre nel pensiero del Creatore).
Ora così. Prima e dopo non sappiamo come.

Del prima conosciamo però che non abbiamo conservato la nostra persona; il nostro sé, nei termini in cui possiamo concepirlo, si è formato qui, ora, con le conseguenti relazioni affettive.
E dopo?
Dopo, forse conserveremo tutte le relazioni di amore, perché solo così è concepibile la “gioia piena” promessa da Gesù, che l’affetto dei nostri cari già ci fa pregustare.
Però, parlare, come stiamo facendo, in termini di prima e dopo, nel contesto dell’eternità, sembra inappropriato.
Sarebbe meglio dire che, da quando siamo persona, le nostre relazioni affettive si uniscono in maniera eterna a noi.
Un’unione d’amore che supera il tempo e lo spazio (misure dell’attuale “stato” della vita eterna), senza ora e dopo, senza qua e là.
Tutti insieme, per sempre, come il senso evangelico della “Comunione dei santi” ci vuole indicare.



