Se un osservatore esterno mettesse sul tavolo, da una parte, la strategia europea sulle materie prime critiche e strategiche e, dall’altra, l’inerzia italiana, arriverebbe a una conclusione brutale: noi stiamo trattando la sicurezza industriale del Paese come un tema marginale, mentre per l’Europa è ormai un nervo scoperto di politica estera, difesa, energia e competitività.
Il Critical Raw Materials Act (CRMA) non riguarda “solo” le terre rare. Le terre rare sono l’emblema, il caso scuola, la parola che fa scattare l’immaginario. Ma il cuore del problema è più ampio: un paniere di materiali indispensabili—dalle batterie all’eolico, dai semiconduttori alla difesa—di cui l’Europa è strutturalmente dipendente. Il CRMA ha fissato obiettivi al 2030 (estrazione, trasformazione, riciclo e riduzione delle dipendenze) e impone agli Stati membri un cambio di paradigma: non basta comprare meglio; bisogna conoscere e presidiare la filiera.
L’Italia, formalmente, si è mossa: il decreto-legge 25 giugno 2024 n. 84, convertito nella legge 8 agosto 2024 n. 115, ha costruito una governance nazionale, introduce i progetti strategici, istituisce un punto unico di contatto presso il MASE e soprattutto affida a ISPRA–Servizio Geologico d’Italia la predisposizione del Programma nazionale di esplorazione (PNE), cioè lo strumento base per fare ciò che in Italia non si fa seriamente da decenni: una ricognizione moderna e sistematica del potenziale minerario. Eppure, quando si passa dalla norma alla realtà, emerge una domanda che fa male: stiamo davvero guardando a tutto il Paese, o solo a porzioni “comode” e già note?
Perché c’è un grande assente nel racconto nazionale delle materie prime critiche: la Sicilia.
La Sicilia: non un “capriccio territoriale”, ma un laboratorio geologico europeo
La Sicilia non è solo un’isola: è una piattaforma geologica complessa dove convivono vulcanismo attivo (Etna ed Eolie), distretti metamorfi (Peloritani), magmatismo alcalino (Iblei) e sistemi idrotermali. Tradotto in termini moderni: un territorio che, in altri Paesi, sarebbe già stato inserito tra le aree prioritarie per indagini esplorative su CRM/SRM.
Qui bisogna essere rigorosi: nessuno può affermare, oggi, che in Sicilia esistano “giacimenti pronti” economicamente sfruttabili. Ma c’è una cosa che possiamo dire con la forza dei dati: esistono evidenze scientifiche recenti che documentano presenza, distribuzione e anomalie geochimiche di terre rare e di numerosi elementi in suoli siciliani, in correlazione con i contesti geologici dell’isola. E questa è la premessa indispensabile per qualunque scelta futura. Non estrazione: conoscenza.

Gli studi scientifici: cosa dicono davvero (e perché sono un segnale politico)
Negli ultimi anni non si è parlato “a sentimento”. Si è misurato, campionato, modellizzato.
1) Saiano et al., 2024 – “Spatial distribution of soil rare earth elements in Sicily (Italy)” (Geoderma Regional)
Questo studio è cruciale perché non si limita a dire “ci sono REE”: costruisce una mappatura spaziale delle terre rare nei suoli siciliani, affrontando anche la natura “composizionale” dei dati e producendo strumenti utili per pianificare campionamenti futuri (dove intensificare, dove ridurre incertezza, come ottimizzare i rilievi). In sostanza: fornisce una base scientifica per passare dalla discussione alla programmazione.
2) Lo Medico et al., 2025 – “Geochemical baseline values and spatial distribution of major, trace, and rare earth elements in unpolluted soils of the Sicily region (Italy)” (Environmental Geochemistry and Health)
Qui la parola chiave è “baseline”: valori di fondo geochimico in suoli non inquinati, con analisi tramite ICP-OES e ICP-MS e una lettura della distribuzione di elementi maggiori, elementi in traccia e terre rare in relazione alle caratteristiche geologiche. È un lavoro di impostazione robusta perché mette insieme molte classi di elementi (non solo REE) e costruisce un quadro quantitativo utilizzabile anche in chiave istituzionale: se vuoi decidere, devi sapere cosa è naturale e cosa è anomalo.
3) Varrica et al., 2024 – studio sui valori di fondo geochimici nei topsoils della Sicilia (approccio metodologico e baseline)
C’è un filone che precede e rafforza l’impostazione “baseline”: studi metodologici sul calcolo dei valori di fondo nei suoli superficiali siciliani, fondamentali per distinguere fenomeni naturali da contaminazioni e per costruire una base comparabile nel tempo. Anche qui il concetto politico è semplice: senza baseline, l’argomento “risorse” resta un’opinione.
4) Dominech et al., 2024 – comportamento delle REE nell’area dell’Etna (Environmental Geochemistry and Health)
Un altro studio mirato si concentra sul comportamento delle terre rare in un contesto specifico come l’Etna: utile perché lega geochimica e ambiente vulcanico, cioè uno dei contesti più rilevanti per l’ipotesi di arricchimenti e pattern distintivi. È il tipo di letteratura che, in Paesi più aggressivi sul piano esplorativo, diventa immediatamente “segnale” per pianificare indagini.
Questi lavori non sono propaganda: sono scienza pubblicata, con metodi e dati. E raccontano una storia coerente: in Sicilia le terre rare e altri elementi si distribuiscono in modo non casuale, ma legato ai distretti geologici. Questo non prova “il giacimento”, ma prova l’esistenza di un razionale esplorativo.
Le aree-soglia: dove la Sicilia “parla” più forte
Se mettiamo insieme la letteratura e la logica geologica, emergono quattro aree che, con prudenza ma con decisione, vanno considerate prioritarie per la fase conoscitiva:
• Distretto Etneo: suoli vulcanici e prodotti basaltici che, in letteratura internazionale, spesso mostrano arricchimenti di terre rare leggere e pattern diagnostici;
• Peloritani (NE Sicilia): metamorfismo di alto grado e contesti litologici che, altrove, ospitano minerali portatori di REE;
• Iblei: magmatismo alcalino, contesto frequentemente associato a concentrazioni di elementi critici;
• Eolie: idrotermalismo attivo, ambiente che può generare concentrazioni secondarie e segnali geochimici misurabili.
È qui che la politica deve fare la differenza: non con slogan, ma con una scelta di governance. Perché oggi il vero problema non è “non abbiamo miniere”. Lo scandalo è: non stiamo nemmeno facendo abbastanza per sapere se le potremmo avere, e in quali condizioni.
Il nodo istituzionale: l’Italia ha già la cassetta degli attrezzi (ma deve usarla)
Qui il punto è delicatissimo e va detto con precisione, senza demagogia.
Lo Stato non può far finta che il tema sia “un affare locale”. Dal 2024–2025 esiste una cornice nazionale chiara: Programma nazionale di esplorazione ISPRA, approvazioni e governance, raccordo con il MASE e la disciplina dei progetti strategici.
Esiste anche un quadro pubblico di comunicazione ISPRA che spiega la logica del programma e l’esigenza di recuperare trent’anni di ritardo nella ricerca mineraria di base.
Ma la Regione Siciliana, a sua volta, non può rifugiarsi nella lamentazione. Per Statuto, la Sicilia ha competenza esclusiva su miniere e risorse del sottosuolo (art. 14, lett. i): ciò significa che può attivare convenzioni, programmi di ricerca, cooperazioni scientifiche, e soprattutto può presentarsi allo Stato non da questuante ma da interlocutore istituzionale: “questa è la nostra base scientifica; inseriteci nel PNE, co-progettiamo le campagne, integriamo i dati.”
In altre parole: le responsabilità sono distribuite, ma il rimedio è uno solo—coordinamento istituzionale serio, con la scienza in testa e la politica a fare ciò che deve: decidere priorità e mettere risorse.
Cosa chiediamo davvero (e cosa NON stiamo chiedendo)
Per evitare equivoci voluti (quelli più pericolosi), occorre dirlo in modo cristallino:
• Non stiamo chiedendo di aprire miniere domani mattina.
• Non stiamo chiedendo di bypassare tutele ambientali e paesaggistiche.
• Non stiamo chiedendo scorciatoie.
Stiamo chiedendo ciò che la Commissione parlamentare e l’Europa indicano come condizione preliminare di sovranità industriale: mappare, esplorare, conoscere. In modo non invasivo dove possibile (geofisica, geochimica, modellazione), con trasparenza, e con un obiettivo chiaro: capire se e dove esistono potenzialità nel sottosuolo siciliano per contribuire—anche solo in parte— alla sicurezza delle filiere europee.
Perché un Paese che non conosce le proprie risorse è come una famiglia che non sa cosa c’è in casa: paga sempre di più, dipende sempre dagli altri, e quando arriva una crisi resta senza opzioni.
Una questione siciliana che è, in realtà, una questione italiana ed europea
Qui entra in gioco la politica nella sua forma più alta. La Sicilia non può essere solo un capitolo di cronaca sul “Sud dimenticato”. La Sicilia, se trattata con serietà, può diventare un tassello di una politica industriale moderna: ricerca, università, tecnologie di indagine, competenze geologiche, attrazione di investimenti sulla filiera, formazione tecnica, lavoro qualificato.
È la differenza tra sviluppo come sussidio e sviluppo come capacità.
Ecco perché questa battaglia non è un capriccio “sull’isola”: è un pezzo della credibilità italiana nella nuova strategia europea sulle materie prime critiche.
Il mondo si sta muovendo con velocità supersonica: catene del valore, geopolitica, industria militare, transizione energetica.
La domanda, ormai, è una soltanto: vogliamo essere un Paese che studia e decide, o un Paese che importa e subisce?
(Letterio Grasso – Azione e Vicky Amendolia -SD)
NOTE
[1] Decreto-legge 25 giugno 2024, n. 84 (Normattiva), con disposizioni su Programma nazionale di esplorazione ISPRA e governance.
[2] ISPRA, Programma Nazionale di Esplorazione (PNE) (documento).
[3] Saiano F. et al. (2024), Spatial distribution of soil rare earth elements in Sicily (Italy), Geoderma Regional.
[4] Lo Medico F. et al. (2025), Geochemical baseline values and spatial distribution of major, trace, and rare earth elements in unpolluted soils of the Sicily region (Italy), Environmental Geochemistry and Health.
[5] Varrica D. et al. (2024), studio su baseline geochimiche nei topsoils della Sicilia (approccio e determinazione dei valori di fondo).
[6] Dominech S. et al. (2024), studio sul comportamento delle REE nell’area dell’Etna, Environmental Geochemistry and Health.



