Messina – Un’organizzazione strutturata, capace di eludere controlli e introdurre regolarmente droga e telefoni cellulari nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, con modalità che sfiorano l’inverosimile come teglie di pasta al forno e pacchi di generi alimentari. È questo il contesto inquietante emerso dall’inchiesta della Procura di Messina, culminata nella richiesta di 13 condanne da parte del pubblico ministero nei confronti degli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Secondo la ricostruzione dell’accusa, i promotori e organizzatori del traffico illecito avrebbero messo in piedi un sistema efficiente per rifornire i detenuti non solo di sostanze stupefacenti, ma anche di micro-cellulari e schede SIM, strumenti utili per continuare a gestire affari illeciti anche dal carcere, comunicare con l’esterno e mantenere i contatti con il circuito criminale. Le indagini sono partite da un’attenta attività di intelligence condotta dai reparti investigativi dell’Arma dei Carabinieri, in collaborazione con la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina. Fondamentali sono state alcune intercettazioni ambientali e telefoniche, oltre a sequestri mirati effettuati all’interno del carcere, che hanno portato alla luce un flusso costante di droga, principalmente hashish, cocaina e subutex, e di telefoni cellulari di piccole dimensioni, spesso nascosti all’interno di generi alimentari destinati ai detenuti. Il meccanismo prevedeva un sistema di smistamento esterno con l’aiuto di fiancheggiatori e parenti dei detenuti, che si occupavano di preparare e consegnare i pacchi.

Al termine della fase dibattimentale per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato, l’accusa ha formulato richieste di condanna piuttosto severe, ritenendo dimostrata la gravità delle condotte contestate e la pericolosità dell’organizzazione.
Le richieste avanzate dal pubblico ministero: sono: 20 anni di reclusione per Luigi Crescenti (45 anni, Messina) e Francesco Esposito (51, Messina), indicati come figure centrali nella gestione del traffico all’interno del carcere, 18 anni per Simona Costa (43, Messina), ritenuta uno dei principali collegamenti logistici tra l’esterno e l’interno della struttura penitenziaria, 14 anni per Francesco Perroni (34, Milazzo), 12 anni e mezzo per Tommaso Costantino (22, Barcellona Pozzo di Gotto), 12 anni per Salvatore Nania (43, Napoli), 10 anni per Manuela Finocchiaro (38, Catania), Maria Gnazzitto (44, Barcellona) e Maria Rizzo (37, Milazzo), 8 anni per Francesca Alaqua (35, Milazzo) e Sebastiano Chiarenza (36, Messina), 6 anni per Giusy Catania (34, Barcellona) e Alessio Sciliberto (35, residente a Cernusco sul Naviglio).
L’accusa ha motivato le pene richieste con la “consapevolezza e la sistematicità” delle azioni contestate, evidenziando come non si sia trattato di episodi sporadici o marginali, ma di un vero e proprio traffico radicato, volto ad assicurare introiti illeciti e a mantenere attivi circuiti criminali anche in regime detentivo.
Il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto torna dunque al centro delle cronache giudiziarie per episodi gravi, dopo che negli anni scorsi era stato già teatro di inchieste per maltrattamenti e violenze. Le autorità giudiziarie hanno sottolineato la necessità di un profondo intervento riorganizzativo all’interno della struttura penitenziaria, affinché venga ristabilita legalità e sicurezza.
La parola passerà ora alla difesa, che cercherà di ridimensionare le responsabilità dei propri assistiti. Le sentenze sono attese nelle prossime settimane, e saranno un primo banco di prova per valutare la solidità del quadro accusatorio. La Procura, intanto, ha fatto sapere che non esclude ulteriori sviluppi investigativi. Se le pene dovessero essere confermate dal giudice, si tratterebbe di uno dei più duri colpi inferti a un sistema di traffico illecito dietro le sbarre nella provincia di Messina, un campanello d’allarme per la sicurezza e la legalità nelle carceri siciliane.



