Riceviamo e pubblichiamo integralmente una lettera giunta in redazione a forma di Domenico Romano (che abbiamo il piacere di conoscere da anni per le sue imprese sulla due ruote e per la sua passione nei confronti del mondo del ciclismo e dei ciclisti). Nel ringraziarlo per avere espresso il suo punto di vista, che condividiamo, auguriamo buona lettura a chi ci segue.

Esimio Direttore,
Le scrivo in merito all’articolo pubblicato il 27 settembre sul Suo giornale, riguardante una presunte lite tra ciclisti e un automobilista a Milazzo.
Non intendo soffermarmi sulla cronaca dell’episodio, che, come da Lei specificato, sarà chiarita dalle autorità competenti, quanto piuttosto sul clima che ho riscontrato nei commenti comparsi sulla pagina Facebook collegata alla notizia.
Da ciclista quotidiano, che utilizza la bicicletta non solo come mezzo di trasporto ma anche come strumento di scoperta e di viaggio – con all’attivo diversi itinerari di cicloturismo, alcuni raccontati persino sul Suo giornale – non posso che esprimere indignazione nel leggere certe reazioni. Espressioni come “sbancate sui denti”, “i pistassi sutta i pedi”, “trattarli come birilli” o la minaccia “io qualche giorno ne stiro un paio” non sono semplici esagerazioni verbali, ma testimonianza di un odio profondo e preoccupante.
Tengo a precisare un aspetto personale: pedalo, come migliaia di ciclisti, quasi sempre da solo, rispettando scrupolosamente il Codice della Strada. Non appartengo a gruppi chiassosi né cerco conflitti con automobilisti o pedoni; la mia condotta è improntata alla prudenza e alla convivenza civile, proprio per questo trovo ingiusto essere accomunato, nei commenti letti, a una categoria dipinta in blocco come arrogante o incurante delle regole.
A ciò si aggiunge la distorta interpretazione del Codice della Strada: si finge di ignorare che l’articolo 148, recentemente modificato, stabilisce chiaramente la distanza minima di sicurezza durante i sorpassi ai ciclisti. Un principio di civiltà trasformato, purtroppo, in terreno di polemica. Vorrei ricordare un dato che dovrebbe bastare da solo: nel 2024 oltre 200 persone hanno perso la vita in Italia mentre erano in sella a una bicicletta.
Parlare di “lotta” tra automobilisti e ciclisti è fuorviante: non è uno scontro tra pari, ma un conflitto impari, in cui la sproporzione delle conseguenze è enorme.
Non va poi dimenticato che chi scrive minacce o incitazioni alla violenza online se ne assume piena responsabilità civile e penale. Tale responsabilità può estendersi anche a chi quei commenti li tollera o li amplifica, offrendo loro visibilità senza alcun filtro.
La libertà di espressione non può mai trasformarsi in un lasciapassare per l’odio o l’istigazione alla violenza. Molti dei commenti rivelano una concezione distorta: che la strada appartenga unicamente a chi guida un mezzo a motore, relegando chi pedala a un fastidioso intruso. Una visione che contrasta con la legge e con il buon senso, e che rischia di alimentare comportamenti aggressivi, spesso all’origine delle peggiori tragedie.
Per questo Le chiedo di dare adeguata pubblicizzazione a queste riflessioni, affinché si apra un dibattito più equilibrato e consapevole. La strada è un bene comune: condividerla nel rispetto reciproco non è una gentile concessione, ma un dovere.
Concludo con un concetto semplice: un ciclista maleducato rimane un uomo maleducato; un automobilista maleducato, invece, può trasformarsi – nel peggiore dei casi – in un omicida stradale. La differenza non è banale e dovrebbe orientare la coscienza collettiva verso la tutela dei più fragili.
La ringrazio per l’attenzione e resto a disposizione per qualsiasi iniziativa che la Sua testata vorrà intraprendere per dare voce a una visione più civile del rapporto tra automobilisti e ciclisti.
Con osservanza,
Domenico Romano
