La Corte d’appello di Messina, ribaltando integralmente la sentenza di primo grado emessa a luglio 2024 dal Tribunale di Patti, ha assolto per insussistenza del fatto una mamma ed il suo compagno che erano stati condannati a 5 anni di reclusione per maltrattamenti aggravati ai danni del figlio Michael Bruno della donna, minorenne all’epoca dei fatti.

Un caso con un drammatico epilogo, che segnò la comunità , quella per cui rispondevano a giudizio gli imputati Stefania Mistretta (mamma di Michael) e Giuseppe Longo, accusati di aver posto in essere condotte vessatorie nei confronti del minore, infliggendogli gravi sofferenze morali e fisiche, malmenandolo, rimproverandolo ed umiliandolo anche per futili motivi.
Il sedicenne fu poi trovato morto a maggio del 2019 in un ex capannone nella periferia pattese, all’interno del quale si tolse la vita.
Alla madre e al patrigno veniva imputato «un completo stato di abbandono morale e di profonda frustrazione psichica, tanto da indurlo a compiere gesti autolesionistici fin dall’età preadolescenziale», con il minore che ripetutamente aveva abbandonato la propria abitazione, confidando ad alcuni amici i propri propositi suicidari. Ad aggravare il quadro, sostenne quindi l’accusa, presunte «inclinazioni esoteriche» della madre che avrebbero condizionato il sedicenne. Deduzione sin da subito portata avanti dai difensori degli imputati, avvocati Fabio Di Santo ed Eliana Raffa, che sostenendo l’estraneità dei propri assistiti ai gravi reati contestati hanno invece spiegato le cure e le attenzioni rivolte dalla coppia nei confronti del giovane che sarebbe invece rimasto vittima di ripetuti episodi di bullismo.
Il 23 luglio 2024 il collegio giudicante del Tribunale di Patti (presidente Ugo Scavuzzo, a latere Eleonora Vona e Giovanna Ceccon) aveva condannato entrambi gli imputati a 5 anni di reclusione. I giudici di primo grado andarono oltre le richieste del pm Roberta Ampolo che, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto 4 anni di reclusione. I giudici avevano disposto anche a carico dei due imputati il risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede al padre del ragazzo, Ferdinando Bruno, costituitosi parte civile. In appello la situazione si è completamente ribaltata e anche il procuratore generale Giuseppe Lombardo, come i legali della difesa, al termine della requisitoria, aveva chiesto l’assoluzione. La Corte d’Appello di Messina (presidente Bruno Sagone, a latere Orlando e Urbani), ha disposto l’assoluzione perché il fatto non sussiste, revocando anche quanto era stato disposto in sede civile.
Revocate quindi le deliberazioni civili già disposte dal collegio di primo grado per il risarcimento del danno in favore del padre del ragazzo.
Entro novanta giorni il deposito delle motivizioni che hanno portato alla decisione della Corte d’appello.
(Giovanni Luca Perrone)
