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GICAP, oltre la vertenza: una crisi che chiama le istituzioni alle proprie responsabilità 

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La crisi GICAP non è una normale vicenda commerciale al tramonto: è una lacerazione sociale che attraversa Messina e la sua provincia, destinata a esplodere entro il 31 dicembre se non si interviene immediatamente. Le sedici saracinesche abbassate che punteggiano la città non sono semplici serrande chiuse: sono presidi comunitari che scompaiono, famiglie che tremano, redditi che svaniscono, territorio che si desertifica. Tre supermercati — Pistunina, via Don Blasco, via Siracusa — hanno già interrotto le attività. E altri dodici rischiano la chiusura definitiva. Parliamo di 150 lavoratori solo a Messina, molti di più considerando Palermo, Siracusa e la Calabria. È una comunità intera che si trova sospesa tra aste deserte, silenzi istituzionali e un tempo che scorre inesorabile verso il 31 dicembre, data di scadenza dell’affitto dei rami d’azienda con Ergon, ma rete dei punti vendita – oggi in larga parte confluita sotto l’insegna ARD Discount – è capillarmente diffusa in Sicilia: da Messina, baricentro storico della GICAP, a Palermo, Catania, Siracusa, Agrigento e Caltanissetta, passando per decine di comuni come Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo, Capo d’Orlando, Naso, Brolo, Monreale, Bagheria, Carini, Acireale, Adrano, Paternò, Caltagirone, Lentini, Avola, Agrigento, Caltanissetta, Lipari e Sambuca di Sicilia (e l’elenco non è esaustivo).

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Una presenza enorme che tocca quasi tutte le province dell’Isola – fino a Enna, Ragusa e Trapani – e che testimonia quanto questa crisi non riguardi solo Messina, ma l’intera infrastruttura commerciale siciliana. Ma questa crisi che nasce nel cuore di Messina e di tutta la sua provincia, si innesta in una rete commerciale molto più ampia: i punti vendita ex GICAP e successivamente affittati o acquisiti da Ergon sono distribuiti in diversi territori, con una presenza che negli anni si è estesa anche in altre province siciliane — tra cui Palermo e Agrigento — a dimostrazione che la vertenza, pur avendo il suo epicentro a Messina, si inserisce in una filiera commerciale regionale la cui stabilità incide su più comunità dell’isola e non è piovuta dal cielo. Nel 2021 il Tribunale di Messina aveva concesso alla Ergon Spa, nell’ambito della procedura di concordato preventivo GICAP, la gestione in affitto di 39 punti vendita. Ventuno sono stati poi acquistati da Ergon, due ceduti ad altre imprese, mentre sedici sono rimasti senza collocazione industriale. I sindacati — con Giuseppe Ragno (FILCAMS CGIL), l’avv Claudio Vallone e Francesco Rubino (UILTuCS) — avevano avvertito che smembrare la rete ne avrebbe indebolito l’attrattività. Oggi quell’allarme è diventato emergenza: le aste per i sedici punti vendita sono andate deserte, nessun soggetto industriale si è fatto avanti, mentre i lavoratori attendono risposte che non possono più essere rinviate. Il Tribunale fallimentare ha svolto il proprio ruolo di giudice e regolatore delle procedure competitive.

Ma la legalità formale non basta, se non è accompagnata da una responsabilità sostanziale delle istituzioni politiche: il tempo, però, è finito e ora servono soluzioni, non soltanto verbali. In questo quadro, il primo presidio di legalità e continuità è il liquidatore giudiziale, avv. Marco Merenda. La legge — dagli artt. 213-216 del Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) alle norme sulla gestione dei rami d’azienda in esercizio, fino agli artt. 4 e 24 della L. 223/1991 — gli attribuisce poteri e doveri precisi: chiedere la proroga dell’affitto dei rami d’azienda quando esistono manifestazioni d’interesse o quando l’interruzione causerebbe un grave danno occupazionale, riaprire procedure competitive trasparenti, convocare le organizzazioni sindacali, segnalare formalmente la gravità della crisi agli enti competenti. È il primo attore istituzionale che può evitare il vuoto gestionale devastante che si produrrebbe con una chiusura secca al 31 dicembre. Accanto al liquidatore, la Regione Siciliana deve abbandonare il ruolo di semplice spettatrice. L’Assessorato al Lavoro e l’Assessorato alle Attività Produttive dispongono di strumenti concreti: la convocazione di un tavolo di crisi regionale; l’utilizzo di fondi FSC e FESR 2021-2027 (Reg. UE 2021/1058 e 1060) per sostenere la riconversione dei punti vendita e la riqualificazione delle aree commerciali; l’attivazione della CIGS per cessazione ai sensi del D.Lgs. 148/2015; la promozione di patti territoriali per la ricollocazione; il coordinamento con Invitalia per progetti in forma cooperativa o per l’ingresso di nuovi soggetti industriali.

Sul piano nazionale, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il MIMIT hanno la possibilità di dichiarare la “crisi complessa” (art. 44 D.Lgs. 148/2015), attivare il Fondo di Salvaguardia delle imprese in crisi (L. 160/2019, D.L. 103/2021), coordinare i progetti di reindustrializzazione con Invitalia e garantire continuità agli ammortizzatori sociali straordinari. Senza il livello statale, qualunque soluzione locale rischia di essere debole e temporanea. E poi ci sono i Comuni coinvolti — Messina, Barcellona P.G., Milazzo, Patti — che non possono limitarsi a “prendere atto”. La legge consente loro di sottoscrivere accordi territoriali di prossimità (art. 8 D.L. 138/2011), prevedere agevolazioni tributarie e urbanistiche per eventuali subentri, utilizzare le risorse del PNRR e dell’Agenda Urbana per contrastare la desertificazione commerciale dei quartieri e sostenere la rete di prossimità. Ma la domanda decisiva è: cosa si può fare davvero nei prossimi giorni? Quali soluzioni esistono, realistiche e percorribili?

Le soluzioni ci sono, e sono almeno cinque. Primo: prorogare l’affitto dei rami d’azienda oltre il 31 dicembre. La proroga è possibile per legge se esistono manifestazioni d’interesse in corso o se l’interruzione causerebbe un danno grave alla continuità aziendale e all’occupazione. Si iscrive nella logica della salvaguardia del valore d’impresa e della tutela dei creditori e dei lavoratori prevista dal Codice della Crisi d’Impresa. È la misura più immediata per evitare il licenziamento di massa e guadagnare il tempo necessario per una soluzione strutturale. Secondo: riaprire la procedura competitiva, ma non come un’asta “nuda e cruda”. Serve un bando più attrattivo, con una divisione dei lotti pensata per valorizzare la rete, condizioni flessibili, incentivi regionali e garanzie sociali chiare. Non si tratta di vendere “qualunque cosa, a qualunque prezzo”, ma di vendere bene, tutelando il lavoro e il territorio. In questo quadro la Regione può intervenire con strumenti di cofinanziamento, contributi a fondo perduto per investimenti, misure per la riqualificazione energetica e digitale dei punti vendita. Terzo: favorire la creazione di cooperative di lavoratori (workers buyout), anche punto per punto. Qui si apre una strada concreta e già sperimentata in Italia. La legislazione italiana consente ai lavoratori di rilevare l’azienda in crisi e gestirla direttamente in forma cooperativa, con un quadro di sostegno pubblico consolidato: la Legge Marcora n. 49/1985 ha istituito un sistema di finanziamenti agevolati e di intervento dei fondi mutualistici per la promozione della cooperazione di lavoro; il D.Lgs. 185/2000 (Titolo II) disciplina gli incentivi all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego, inclusi i progetti cooperativi di lavoratori; la Legge 59/1992 prevede fondi mutualistici alimentati dagli utili delle cooperative per sostenere la nascita di nuove imprese cooperative; il Ministero e Invitalia possono intervenire, in applicazione della normativa sui workers buyout, con prestiti agevolati, co-finanziamenti e strumenti di equity; l’art. 2112 c.c. garantisce il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda. Nel caso GICAP, questa soluzione può essere declinata in modo molto concreto: i lavoratori di ciascun supermercato possono costituire una cooperativa di produzione e lavoro, chiedere al liquidatore l’affitto o l’acquisto del singolo punto vendita o del relativo ramo d’azienda, partecipare al capitale sociale anche attraverso l’anticipo del TFR (come già avvenuto in molte esperienze di workers buyout), accedere ai finanziamenti agevolati tramite Invitalia e i fondi Marcora, ottenere dalla Regione contributi per la riqualificazione e dai Comuni agevolazioni tributarie e urbanistiche. In questo modo, ogni punto vendita può diventare una cooperativa radicata nel proprio quartiere, mantenendo occupazione, servizi di prossimità e capacità di spesa sul territorio. È una soluzione tecnica, giuridicamente fondata, finanziariamente sostenuta e socialmente adeguata a un tessuto come quello messinese, dove il legame tra supermercato, lavoratori e comunità è forte e riconoscibile. Quarto: promuovere l’ingresso di un soggetto industriale solido attraverso un protocollo di garanzia sottoscritto da Comune, Regione e parti sociali. Non basta “trovare un compratore”: serve un partner industriale che sottoscriva un impegno vincolante sul mantenimento dei livelli occupazionali, sulla riqualificazione dei punti vendita, sul reinvestimento nel territorio, sul rispetto dell’art. 2112 c.c. e degli istituti di consultazione sindacale previsti dalla L. 428/1990, art. 47. In cambio, le istituzioni possono offrire incentivi fiscali, semplificazioni burocratiche, accesso agevolato a strumenti di finanza agevolata e supporto nella pianificazione degli investimenti. Quinto: attivare immediatamente gli ammortizzatori sociali straordinari. Quando si parla di soluzioni industriali, si dimentica spesso che i tempi tecnici non coincidono con i tempi della vita delle persone. La CIGS per crisi o cessazione, gli strumenti previsti dal D.Lgs. 148/2015 e le misure di sostegno al reddito collegate alla dichiarazione di crisi complessa sono indispensabili per garantire continuità di reddito ai lavoratori fino al perfezionamento delle operazioni di cessione o di avvio delle cooperative. Senza questa rete di protezione, qualsiasi progetto rischia di naufragare perché le famiglie non possono “attendere” le procedure.

A queste cinque direttrici si aggiunge una possibilità ulteriore: trasformare i sedici punti vendita in poli di economia circolare, mercati di prossimità, hub logistici urbani, utilizzando i fondi europei per la rigenerazione commerciale e urbana. Una soluzione più innovativa, che richiede progettazione e visione, ma oggi più che mai necessaria per evitare che locali vuoti diventino luoghi di degrado. Tutto ciò dimostra che non siamo di fronte a una crisi “ineluttabile”, ma a un bivio politico e istituzionale: da un lato la resa, dall’altro la volontà di usare fino in fondo gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione. Messina ha già pagato un prezzo altissimo in termini di desertificazione produttiva e commerciale. La crisi GICAP è il paradigma di ciò che accade quando il territorio viene lasciato senza regia, senza politica industriale, senza un vero presidio istituzionale del lavoro. Ma è anche il momento in cui questa città può dimostrare che la cooperazione tra istituzioni, lavoratori, imprese e comunità non è un’utopia, ma l’unica strada per evitare l’ennesima tragedia occupazionale. Messina ha già pagato un prezzo altissimo in termini di desertificazione produttiva e commerciale. Qui non si sta discutendo solo del destino di una società in crisi, ma della qualità della vita nei quartieri, della tenuta sociale di interi pezzi di città, del futuro di 190 famiglie. Il lavoro non è una riga di bilancio: è la misura della civiltà di una comunità.

Per queste ragioni chiediamo, con forza e senza ambiguità, l’immediata convocazione di un tavolo di crisi interistituzionale con la partecipazione del Tribunale, della Regione Siciliana, del Ministero del Lavoro, del MIMIT, dei Comuni interessati e delle rappresentanze sindacali. Ognuno si assuma la propria parte, nel rispetto delle competenze e dei poteri che la legge attribuisce. Ogni ritardo, oggi, non sarebbe un semplice errore: sarebbe una colpa verso Messina e verso chi in questi supermercati ha lavorato per anni, garantendo un servizio essenziale alla comunità.

(Letterio Grasso – Azione)

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