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Amarcord Ciclismo – Michele Scarponi, una vita da gregario…

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Il ciclismo è uno sport senza tempo, un flusso continuo di corse e di campioni, di imprese e di ricordi che si accavallano e si sovrappongono. Non esiste presente senza passato, perché ogni pedalata risuona nell’eco di quelle che l’hanno preceduta.

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Ogni giorno porta con sé una memoria: il 2 Gennaio ha il volto allungato di Fausto Coppi, il 14 Febbraio il profilo affilato di Marco Pantani, il 18 Luglio il sorriso pulito di Fabio Casartelli, il 22 Aprile il ricordo di Michele Scarponi. Sono ‘tappe’ di una storia che non si ferma mai, fatta di nomi e di assenze, di salite e di discese, di emozioni che restano impresse nel cuore degli appassionati.

 Michele Scarponi, marchigiano di Filottrano, avrebbe dovuto essere il capitano dell’Astana al Giro d’Italia 2017. A 37 anni, dopo una carriera trascorsa spesso al servizio degli altri, avrebbe avuto l’opportunità di giocarsi le sue carte. Ma il destino ha deciso diversamente: il 22 Aprile 2017 un incidente lo ha strappato alla sua bicicletta e alla sua gente.

Eppure, nel ciclismo nulla viene dimenticato. “Accorcia le distanze dei ricordi”, scriveva Antoine Blondin, scrittore e storico redazionista sportivo de ‘L’Equipe’ (scrisse ininterrottamente del Tour de France dal 1954 al 1982). E così Scarponi rimane nei racconti di chi lo ha amato, nelle immagini delle sue fughe, nelle battute che dispensava con generosità. “Meglio così, se no sai che palle fare sempre la stessa cosa”, diceva con ironia quando tornava al ruolo di gregario. “Alla fine alla bici fai lo sbaglio di volerle bene”, confessava con la semplicità di chi sapeva cosa significava soffrire sui pedali.

Il ciclismo è anche una questione di scelte, di visioni del mondo che si riflettono nello sport: Coppi o Bartali, Moser o Saronni, Bugno o Chiappucci. Ma le divisioni svaniscono di fronte alla fatica, alla lotta per la vetta, al rispetto per chi pedala. E poi ci sono campioni che mettono tutti d’accordo, che vanno oltre le preferenze e diventano simboli universali. Scarponi era uno di questi.

Ha vinto il Giro d’Italia 2011 dopo la squalifica di Alberto Contador che lo precedeva in classifica generale, tre tappe alla corsa Rosa, una Tirreno-Adriatico. Ha regalato momenti di grande ciclismo, come nella tappa di Risoul del Giro 2016, quando sacrificò una vittoria personale per lanciare Vincenzo Nibali verso il trionfo finale. “Potevo vincere la tappa, ma Vincenzo può vincere il Giro e tutto il resto non conta”, dichiarò con la generosità che lo contraddistingueva.

Scarponi conosceva il valore della squadra, sapeva cosa significava sbagliare e rialzarsi. La sua carriera fu segnata anche dalla squalifica per il coinvolgimento nell’Operación Puerto, ma lui seppe ripartire, guadagnarsi nuovamente la stima del gruppo e degli appassionati. Non ha mai nascosto la fatica e le difficoltà, affrontandole con il sorriso e con quella leggerezza che rendeva tutto più sopportabile.

E poi c’era Frankje, il pappagallo che lo accompagnava negli allenamenti, un’amicizia insolita che lo ha reso ancora più amato. Quel pappagallo lo aspettava anche quel giorno fatale, appollaiato su un cartello vicino al luogo dell’incidente. Un’immagine che sembra quasi un ultimo saluto, un segno di un legame che nemmeno la morte ha potuto spezzare.

Nel ciclismo come nella vita, si cade e ci si rialza. Michele Scarponi ha lasciato la sua scia su questa strada infinita, nella memoria di chi ama le due ruote e nelle pagine di una storia che continua a essere scritta, giorno dopo giorno, pedalata dopo pedalata.

Se Luciano Ligabue ha omaggiato Lele Oriali cantando ‘Una vita da mediano’, tutto il ciclismo non può non ricordare Michele Scarponi intonando ‘Una vita da gregario…’

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