Una città divisa, confusa. E un’identità calcistica sempre più fragile
Messina – Il calcio a Messina non muore mai del tutto. Resta lì, sospeso tra speranza e disincanto, come un vecchio amico che torna sempre, anche quando lo si credeva perduto. C’è chi lo chiama amore, chi lo chiama abitudine. Ma in fondo, è solo un bisogno: quello di sentirsi parte di qualcosa.

Eppure, mai come adesso, l’identità calcistica della città sembra smarrita. L’Acr Messina, che per molti resta “il Messina”, nonostante tutto è sopravvissuto ancora una volta. Non per meriti sportivi, né per un progetto che guarda al futuro. È sopravvissuto per legge, per l’intervento di un giudice, per la freddezza di una firma su un atto di ristrutturazione del debito.
In tanti erano pronti a scrivere la parola fine. Il fallimento sembrava inevitabile. E invece no, grazie alla decisione del giudice Daniele Madia, la società nata nel 2017 è ancora lì, formalmente viva. Ma a quale scopo?
La sensazione che aleggia tra i vicoli del centro e le chiacchiere da bar è una sola: si va avanti solo per evitare il tracollo definitivo. Non c’è rilancio, non c’è visione. Solo sopravvivenza. E chi ancora riconosce nell’Acr l’eredità storica del Messina, lo fa con dolore. Perché dietro quel nome ci sono troppe promesse mancate, troppe illusioni consumate. E una proprietà, la famigerata AAD Invest e il socio Pietro Sciotto, che continua a essere al centro della contestazione.
L’iscrizione al prossimo campionato di Serie D, penalizzazione inclusa (si parla di un -14 che potrebbe salire), appare possibile. Ma non è affatto scontata. Il termine per presentare tutta la documentazione scade il 10 luglio. E stavolta non ci sarà margine di errore. Nessun appiglio. Nessun salvagente.
Ma anche ammesso che si riesca a iscrivere la squadra… con quale progetto? Con quali uomini? Con quali idee?
Nessuno lo sa. Nessuno sembra volerlo sapere. Intanto, a vigilare su quel poco che resta, c’è il commissario giudiziale Maria Di Renzo, avvocato dal profilo rigoroso, che in molti descrivono come operativa e inflessibile. Se i conti non tornano, è pronta a fermare tutto. Ma sul piano sportivo, si naviga nel buio. Il rischio di un’uscita di scena “a stagione in corso” non è solo un incubo, è uno scenario concreto. Un’ennesima umiliazione pronta a colpire una tifoseria già stremata.
Da gennaio, da quando è comparsa sulla scena AAD Invest, tutto è precipitato. Le promesse sono evaporate come acqua sul fuoco. Al loro posto, solo rabbia, sfiducia, e una distanza sempre più grande tra la società e la città. Le curve non cantano più. I tamburi sono silenziati. Il boicottaggio non è un’idea, è una possibilità concreta. Non è più una protesta contro la squadra, ma contro chi la gestisce. E allora, come si può immaginare un futuro con gli stadi vuoti, con la città che volta le spalle? Senza tifosi, il calcio non esiste. E oggi, l’unico che potrebbe ancora metterci soldi sembra essere proprio Sciotto. Perché AAD Invest, entità opaca, evanescente, è sparita dai radar. Nessun segno, nessuna parola, nessun pagamento. Solo silenzi.
Nel frattempo, Sciotto denuncia di essere stato raggirato da una fiduciaria lussemburghese, rappresentata da un certo Stefano Alaimo. La Procura indaga. Ma la giustizia, si sa, ha i suoi tempi. E il calcio non può aspettare.
E mentre il cuore del tifo si lacera, e l’Acr sopravvive senza vita, c’è chi prova a guardare oltre. A immaginare qualcosa di nuovo. Forse un’alternativa, forse solo un’altra illusione.
C’è il Città di Sant’Agata, retrocesso in Eccellenza ma guidato da un presidente ambizioso, Maximiliano Sosa, argentino, concreto, deciso. Avrebbe voluto rilevare l’Acr, ma l’intricata vicenda giudiziaria ha congelato tutto. Così Sosa ora guarda altrove, muovendosi per trasferire il suo progetto a Messina o nei dintorni. La richiesta di ripescaggio in Serie D è pronta. Non si aspetta altro. E poi c’è la Messana 1966, fresca di promozione in Eccellenza. Una società seria, con dirigenti stimati e, pare, il sostegno dell’Amministrazione comunale. Un progetto più sobrio, più graduale, ma potenzialmente solido. Anche qui si vocifera di imprenditori interessati. Si lavora in silenzio, lontano dai riflettori.
Ma il pericolo più grande, oggi, non è il fallimento dell’Acr. È la spaccatura. Di nuovo. Ancora. Messina rischia di dividersi per l’ennesima volta, come accadde anni fa, tra sigle, matricole, verità urlate e accuse reciproche.
Eppure, alla fine del campionato, qualcosa si era visto. Una maturità diversa, quasi inattesa. Uno spiraglio. E forse, da lì, si può ripartire. Perché il calcio può anche essere passione, ma ha bisogno di responsabilità. Di progetti veri. Di trasparenza. Per ora, il Messina, come nome, come storia, come matricola, è ancora l’Acr. Non è Sciotto, non è Cissè, non è nessuno dei volti che oggi appaiono e scompaiono. È una squadra, una bandiera, un ricordo. Ma questo potrebbe cambiare. E in fretta.
L’augurio è uno soltanto, e cioè che si possa, una volta per tutte, costruire un vero Messina. Degno della sua gente, della sua memoria, della sua voce.
Un Messina senza padrini né burattinai. Un Messina senza inganni.
Solo calcio. Finalmente.
