“Il mare non ha Paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole”. Giovanni Verga, verista e catanese, descriveva così le acque di Aci Trezza tra le pagine de I Malavoglia. Una Sicilia millenaria, capace di raccontare la magia delle terra emersa che si spegne in riva ai sogni.

Un altro siculo ha delineato invece tracce infinite all’interno del mondo del calcio. Un uomo venuto da Canneto, frazione dell’isola di Lipari, che risponde al nome di Franco Scoglio. Poeta, anzi no verticalizzatore. Aforista capace di dipingere l’essenziale in poche righe.
“Il mio calcio è fatto così: 47 per cento di tecnica, 30 per cento di condizione fisica, 23 per cento di psicologia”. Così spiegava, il Professore. Reputava questo
soprannome alquanto “snob”, preferiva essere apostrofato come maestro. Quella figura che riporta agli anni spensierati e felici tra i banchi di scuola. Quella figura paternale e protettiva del maestro elementare. Semplice? Tutt’altro. Chi lo ha conosciuto sapeva della sua attitudine a non farsi andare bene nulla.
Trovò la sua dimensione nel 1984 a Messina, dopo aver girovagato, in lungo ed in largo, per l’isola più grande del Mediterraneo e per la Calabria. Legato a Salvatore “Totò” Schillaci e a quei “bastardi” decisivi per condurre il lato giallorosso dello Stretto in serie B dopo diciott’anni. Nel 1988 venne chiamato da
Aldo Spinelli per rilanciare le ambizioni della piazza rossoblu di Genova. Un disperato amore, sfociato in quel sibillino “morirò parlando del Genoa” che lo condurrà ad esalare gli ultimi respiri colloquiando, animatamente, con il presidente Enrico Preziosi in un salotto televisivo.
Il legame indissolubile con la tifoseria lo porterà a Genova per tre volte dal 1988 al 1990, dal 1993 al 1995 e dal 2001 al 2002.
In un derby, disputato il 2 aprile 2001, davanti alla gradinata rossoblu rese la Sampdoria spettatrice non pagante. Mutarelli e Stroppa i giustizieri, mentre il Professore, a fine gara, si concedeva all’abbraccio platonico della sua gente.
“Le caratteristiche che devono avere i miei giocatori? Senz’altro necessitano di attributi tripallici. Quelli che hanno tre palle
fanno il pressing. Quelli che ne hanno due giocano al calcio. Quelli che ne hanno una fanno le partite tra scapoli ed ammogliati”.
Davide Scappini, ex amministratore del Genoa, disse che per Scoglio il calcio era “una scienza esatta”, fatta di uomini che diventano ingranaggi di un meccanismo perfetto. «Bellopede non deve passare la palla a Orati. Bellopede deve mettere la palla in una zona del campo dove ci deve essere Orati. Badate che non è la stessa cosa».
Chissà se l’Italia del pallone lo ha apprezzato. Chissà se davvero c’era tutto Franco Scoglio nelle sue parole. Quel calcio che trova spunti nella pallacanestro o nella palla ovale del rugby.
“La zona sporca è un accorgimento contro i buchi che può creare la zona pura. Il fuorigioco non è automatico quando lo sporco sta dietro. Diventa obbligatorio quando lo sporco scala in avanti al posto di uno dei quattro difensori in linea”. Può voler dire tutto, può voler dire niente.
Calcio innovatore il suo, fatto di un centrocampo a rombo con trequartista il leggendario Perdomo, divenuto celebre grazie alla parole dell’allenatore doriano Vujadin Boskov. «Se io sciolgo il mio cane, lui gioca meglio di Perdomo». Per poi rettificare. «Io non dire che Perdomog iocare come mio cane. Io dire che lui potere giocare a calcio solo in parco di mia villa con mio cane». Opposti estremismi, mai così vicini come tra i carruggi genovesi.
Il Professore, prima di terminare la sua esperienza terrena, ci ha lasciato l’ennesima profezia. “Il parere della maggioranza non può essere che l’espressione dell’incompetenza, sia che derivi dalla mancanza di intelligenza o dall’ignoranza pura e semplice”. Chissà cosa avrebbe detto di questo calcio e ricordando il mare di Verga, viene da pensare… ‘Come può uno Scoglio arginare il mare… “.
