archivio discontinuo

È un ciclo di mostre che mette insieme le opere collezionate durante le quattro edizioni della residenza “Discontinuo / an open studio” (2018-2021) al termine dal quale ogni artista partecipante ha donato un’opera da custodire nel nostro spazio di creazione e aggregazione: Discontinuo!
Qui è dove accade tutto, uno spazio che mantiene i segni del passato storico e di quello artistico.
La Vetrina, con la serie di mostre “Archivio” mette in dialogo lo spazio con il fuori. Che siate residenti o di passaggio nella città potrebbe capitarvi di attraversare Vicolo I Mandanici e restare sorpresi dalla presenza di una finestra su questo mondo altro, sospeso, che invita a restare.

la stanza di Roberta
Roberta Gennaro
Estratto dal testo curatoriale redatto durante la terza edizione della residenza Discontinuo.
Il lavoro di Roberta Gennaro è una ricerca sulla molteplicità del concetto di sacro, in particolare sulla volubilità, tutta umana, che caratterizza gli oggetti sacri. Il feticcio, la reliquia sono soggetti pretestuosi che l’artista rende protagonisti del suo discorso per parlare di un mondo che non è più in connessione con la sua energia.
Roberta Gennaro ha partecipato alla residenza Discontinuo #4 con una installazione al centro del quale campeggiavano due “pale” di cemento che, come antiche o ritrovate pale d’altare, celebrano entità sacre. Ma qui, senza sforzo di ricondurre a un’iconografia precisa, si tratta di entità sconosciute, immagini manipolate, in una versione precedente all’AI. Sono dei e dee che non conosciamo e in cui non riponiamo fede. L’instrallazione si completava con un falso stendardo color porpora che scendendo dall’alto invitava a una relazione di prossimità con queste icone innescando un gioco alternato di attrazione e distanziamento tra il fruitore e l’oggetto sacro.

Ciao Roberta
Che ricordo hai di quell’esperienza?
È stata un’occasione per conoscere in modo più approfondito il contesto di Barcellona Pozzo di Gotto che già frequentavo. È un territorio difficile sotto tanti punti di vista; la sua complessità è ambivalente: è difficile accedere all’arte contemporanea ma d’altra parte è denso di stimoli e contrasti, ricco di storie e quindi fertile. Sento di riconoscerlo perché ha una struttura simile a me. Io sono piena di contrasti e lavorare a Discontinuo mi ha fatto riscoprire questo, quindi è stato un percorso molto faticoso ma ne sono uscita soddisfatta.
Come hai realizzato queste immagini e in che senso quest’opera indaga la relazione tra l’uomo e la fede? Che cosa significano queste entità?
Tecnicamente ho fatto un collage di immagini selezionate online, stampate digitamente e trasferite su un supporto di cemento che rimandano al concetto di feticcio.
La mia è stata una ricerca antropologica a partire dalla tradizione religiosa del territorio: tutte le processioni a cui ho partecipato – Le “Varette” del Venerdì Santo, la Madonna di Ferragosto a Novara, quella del “Cristo Lungo” a Castroreale – hanno origini antichissime e sono rimaste pressoché intatte. Io non sono cresciuta attingendo a queste tradizioni e per me sono state esperienze di un certo peso.
Ma tutto questo mi ha fatto riflettere sulla veridicità della fede e su quando piuttosto si tratti di feticizzare un sentimento, un’emozione, ma anche una preghiera, traducendola in un’immagine.
La caducità umana vive supportata dal feticcio, il mio è la fotografia, l’immagine in sè, verso cui io ho sviluppato un’ossessione. Ho sempre ricercato nell’immagine una forma, ma le immagini sono fragili, mutano. Quello che guardiamo viene sempre elaborato da ognuno di noi, la fotografia come istantanea è un’illusione.
In questo caso ho scelto delle immagini, le ho manipolate e ne ho fatto un feticcio nuovo.
La tecnica che hai scelto di sperimentare prevedeva l’uso del cemento, perché la fotografia e il cemento?
La speculazione edilizia qui è un’evidenza. L’abusivismo edilizio è oppressivo. La costruzione selvaggia di interi quartieri su quelle che prima erano saie, letti di fiumi, spiagge ha scatenato una concatenazione di catastrofi naturali.
Volevo usare il cemento basandomi su questa contraddizione che mi ha dato anche la possibilità di costituire un contrasto: l’immagine in quando fragile si trasforma in feticcio una volta posata su un materiale apparentemente stabile come il cemento.
Se riguardi l’opera che hai donato all’Archivio Discontinuo oggi che cosa pensi e quanto, se, è cambiato il tuo lavoro?
La residenza coincide con l’inizio di un’evoluzione del mio lavoro. Da quel momento è diventato più materico, mi sono legata alla “pesantezza” dei materiali. Penso che la ricerca attuale abbia le sue origini in quest’opera.
La mostra “La stanza di Roberta” è visibile dall’1 al 27 settembre in Vicolo I Placido Mandanici n°2 a Barcellona Pozzo di Gotto, Messina.
https://robertagennaroartist.jimdofree.com
per approfondire il lavoro di Roberta Gennaro



