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CANCELLA per Riscrivere: Emilio Isgrò, l’Artista che TROVÒ LA VERITÀ

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Il nome di Emilio Isgrò risuona come un paradosso nel panorama dell’arte e della letteratura italiana.

Poliedrico per vocazione —giornalista, poeta, drammaturgo e infine artista concettuale— egli ha scelto la cancellatura non come atto di negazione, ma come la sua più potente affermazione creativa.

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Il suo recente libro, “Io non cancello – La mia vita fraintesa” (edito Solferino), è un viaggio autobiografico che svela il significato profondo di un gesto artistico spesso mal interpretato.

L’intera carriera di Isgrò è segnata da un unico, potente tema: la Parola. Prima di diventare il celebre “cancellatore”, ha mosso i suoi passi nel giornalismo, nella poesia e nella scrittura teatrale. Questa intensa familiarità con il linguaggio ha portato alla rivoluzione che lo ha consacrato: la cancellatura.

​Il concetto è sorprendentemente semplice, ma dirompente:

il Geesto. Consiste nell’intervento sull’oggetto testuale (libro, enciclopedia, mappa) annerendo o schiarendo gran parte delle parole.

L’Obiettivo. L’azione non è distruttiva. Cancellando, Isgrò non fa altro che dare più forza al testo, isolando poche parole residue che, estratte dal contesto, acquistano un significato nuovo e amplificato, stimolando una riflessione radicale sul linguaggio e sulla comunicazione.

​L’artista, che ricorda l’attesa e la fatica prima che il suo lavoro venisse pienamente compreso, testimonia di quanto sia stato spesso frainteso: un pioniere concettuale la cui opera più celebre, una cancellatura su un libro, ha visto la luce nel 1964.

​Nel libro viene trattato ​oltre l’arte visiva, l’impegno di Isgrò per la parola che si manifesta in modo monumentale nel teatro. L’Orestea di Gibellina non è una singola opera, ma un’opera teatrale articolata in diverse edizioni. ​Si tratta della riscrittura della trilogia di Eschilo, divisa in tre parti e ambientata nel luogo simbolo del sisma: Gibellina, rasa al suolo dal terremoto del Belice nel 1968.

Ciò che rende l’opera unica è l’originale impasto linguistico utilizzato: una commistione sapiente di italiano, dialetto siciliano e altri idiomi, che dona al dramma classico una risonanza contemporanea e profondamente radicata.

Portando l’epopea del giudizio e della rinascita sulle macerie, Isgrò ha dimostrato come la Parola, anche quando messa in discussione o frammentata, resti la base fondamentale per la ricostruzione, sia essa urbana, culturale o spirituale.

​L’autobiografia di Isgrò è un atto di coraggio e lucidità, in cui l’artista rivendica il suo metodo: un’estetica della sottrazione che, al contrario della censura che mira a nascondere, cerca di svelare e illuminare.

In un’epoca di sovraccarico informativo, l’arte di Emilio Isgrò ci invita a riscoprire il peso specifico e la libertà delle parole che restano, trasformando la cancellatura in un gesto di speranza e in un potente strumento di analisi critica.

Per apprezzare al meglio, vi invito ad acquistare il libro e leggerlo.

(Loredana Aimi)

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