La Corte d’Assise di Brescia, presieduta da Cristina Ardenghi, ha condannato a 16 anni di carcere il messinese Alessandro Galletta, 53 anni, ritenuto coinvolto nella rapina sfociata nell’uccisione del gioielliere Carlo Mortilli, avvenuta nel maggio 1997 nel parcheggio dell’hotel West Garda di Padenghe.

Un “cold case” risalente a 25 anni fa e riaperto grazie ad una traccia di Dna. Dopo circa due ore di camera di consiglio, i giudici hanno riconosciuto a Galletta le attenuanti generiche, considerate prevalenti sulle aggravanti formulate dall’accusa che aveva chiesto l’ergastolo. Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro 60 giorni.
Per l’omicidio di Mortilli, rapinato di una valigetta contenente orologi preziosi, altre due persone sono già state condannate e hanno scontato la pena: Marcello Fortugno (17 anni e 8 mesi di carcere) e Fabio Cosoleto (4 anni).
A distanza di oltre 20 anni si è arrivati a Galletta sulla base delle tracce di Dna trovate su una calza da donna indossata come maschera per travisare il volto. I dati sono stati incrociati con il Dna prelevato a Galletta in occasione di un suo ingresso in carcere.
La perizia è stata però effettuata solamente sulle carte, perché tutti i reperti fisici – il materiale genetico, un guanto di pelle e la calzamaglia – sono stati distrutti il 14 agosto 2012, su ordine della Corte d’appello di Brescia.
Il genetista ha comunque rilevato dalla “tipizzazione della traccia” che la probabilità che il Dna sia di Galletta è 689 milioni di volte più alta rispetto a qualsiasi altra persona. Un secondo test però ha fornito un numero diverso, “soltanto” 6 milioni e 198mila volte più probabile che sia dell’imputato piuttosto che di un’altra persona.
Il pm Francesco Carlo Milanesi aveva chiesto che venisse condannato all’ergastolo, seppure a 28 anni dai fatti (“Anni vissuti accomodandosi nell’impunità, non collaborando con la giustizia ma anzi, commettendo altri reati”).
Per la difesa, gli avvocati Antonio Invidia e Giovanni Chincarini, al contrario, Galletta andava assolto giacché la prova, Dna compreso, era “inconsistente” e “probabilistica”: “non è dimostrato il collegamento tra quella calza, trovata a 700 metri dalla discoteca dove Galletta faceva il buttafuori, 400 da casa sua e 350 metri dal luogo dell’omicidio, fosse collegata proprio all’omicidio”. La Corte ha ritenuto Galletta colpevole, ma gli ha concesso le attenuanti in rapporto di prevalenza sulle aggravanti.
(Giovanni Luca Perrone)
