Chiariamo subito che quest’articolo non ha alcuna pretesa di essere esaustivo dell’argomento, piuttosto un compendio di massima che mi auguro possa tornare utile a tanti.
Chi di noi non ha mai mangiato pane?
Tra gli alimenti oggi consumati dall’uomo, il pane, ha origini antichissime; è ragionevole pensare che la sua origine sia contestuale allo sviluppo dell’agricoltura. Il pane più antico di cui si ha traccia certa risale a circa il 12000 a.C. quando, in Giordania, veniva preparato, impastando con acqua, cereali macinati e successivamente cotto su pietra. Attorno al 3000 a.C., gli egizi imparano che il pane risultava più soffice se cotto il giorno averlo impastato.
Nel mondo il pane ha sempre avuto un ruolo centrale nell’alimentazione, viene preparato in una molteplicità di modi che per lo più prevedono gli stessi ingredienti. In Italia si contano più di duecento pani tipici e tradizionali di cui andare fieri.
Durante la pandemia COVID, molti di noi, me compreso, ci siamo improvvisati panificatori con risultati non sempre soddisfacenti e questo perché, per fare bene il pane, non basta mettere insieme gli ingredienti. Occorre conoscere il processo di panificazione con le sue variabili e la loro incidenza: dosi, sequenze, tempi, temperatura, umidità,… Ogni variabile introduce un errore, un’approssimazione che sommate determinano l’esito di ogni fatica.
Per ovviare a tali incertezze o “disturbi” o, meglio, per governarne la variabilità, la panificazione contemporanea prevede spesso l’utilizzo di altri “ingredienti”: i cosiddetti “miglioratori del pane”.
Ma, cosa sono i miglioratori?
Nome promettente ma che sa di artificioso, i miglioratori del pane sono dei preparati, tipicamente in polvere ma non solo, addizionati agli impasti in piccole percentuali (solitamente inferiori al 2%), per i quali non c’è obbligo di etichettatura nel prodotto, dato che, in esso, non se ne ha traccia. I miglioratori sono coadiuvanti tecnologici. Non è da escludere che il loro sviluppo sia partito sulla spinta dell’industria panaria volta all’ottimizzazione del processo produttivo, alla totale riproducibilità del prodotto nonché alla massimizzazione dei profitti ma, oggi giorno, i miglioratori sono di ben più ampio utilizzo.
Sono proprio necessari? A cosa servono?
I miglioratori, in pratica, servono a “gestire in maniera controllata” alcune caratteristiche dell’impasto e del prodotto finito: sofficità, durata e fragranza del prodotto, coadiuvanti dell’impasto in termini di forza, elasticità, tenuta della maglia glutinica, miglioratori della lievitazione, della regolarità della forma,… Sopperiscono a mancanze qualitative e di processo richieste per un prodotto sempre al top. Sono pertanto additivi che permettono di ottenere risultati “standardizzati” nonostante la variabilità insita nelle fasi di lavorazione e l’utilizzo di materie prime di modesta qualità. A fare un parallelo, forse ardito, si può dire che hanno la funzione degli integratori alimentari che il medico prescrive ad integrazione di una dieta incompleta.
I miglioratori, nella loro varietà, possono comunque ricondursi a due categorie: enzimatici e non enzimatici. Tra i non enzimatici figurano principalmente l’acido ascorbico (vitamina C) che agisce sul glutine e i mono e di-gliceridi degli acidi grassi; questi ultimi utilizzati in qualità di emulsionanti e di origine sintetica. Queste sostanze sono utilizzate nella stragrande maggioranza dei prodotti da forno industriali. Tra i miglioratori enzimatici si annoverano l’amilasi, la proteasi e simili. Sono proteine e spesso hanno origine vegetale o animale. Il malto, che contiene anche le amilasi, ad esempio, è comunemente usato in tantissime ricette, anche casalinghe. Le amilasi sono inoltre secrete da ghiandole animali (salivari, pancreas,…). Piccola parentesi: gli enzimi del malto sono ad esempio fondamentali nella realizzazione della birra!
I vegani sono tutelati?
Il mancato riporto in etichetta non permette a chi abbraccia lo stile alimentare vegano di poter discriminare; a questo punto ci sono due possibilità: chiedere al produttore o fare a casa il pane che si consuma ma, in quest’ultimo caso, che garanzie si hanno? Beh, se si acquista farina di grano tenero o semola di grano duro allora si è certi di non trovare sostanze estranee, cosa che, purtroppo, non accade se si acquistano i tanti preparati per pane o i vari mix in commercio.
In estrema sintesi: i miglioratori permettono risultati garantiti anche a fronte di materie prime di modesta qualità, riducono i costi e massimizzano i profitti senza provocare nocumento alla salute, non hanno obbligo di etichetta perché non presenti nel prodotto finito. L’assenza in etichetta va però a discapito dei produttori che utilizzano ingredienti di eccellenza e del consumatore impossibilitato a fare una scelta consapevole anche in considerazione di una probabile origine animale.
Buon pane a tutti!
(Foto di A. Scollo)
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