Lo Stato fa sentire la sua voce contro la criminalità organizzata, impegnati 2000 carabinieri.
Tra gli arrestati anche boss e fedelissimi di Cosa nostra scarcerati qualche tempo fa, perché avevano finito di scontare la loro pena. Tornati in città avevano ripreso in mano le redini e continuato ad occuparsi di estorsioni e traffico di droga. L’obiettivo dell’operazione era “disarticolare i mandamenti mafiosi della città di Palermo e provincia, in particolare quelli di ‘Porta Nuova’, ‘Pagliarelli’, ‘Tommaso Natale – San Lorenzo’, ‘Santa Maria del Gesù’ e ‘Bagheria’”.

Gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, e altro.
Il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia in conferenza stampa ha dichiarato: “Nell’indagine di oggi sono coinvolti moltissimi giovani e su questi dobbiamo essere particolarmente attenti. Come siamo attenti ai vecchi capi che tornano, dobbiamo stare attenti a chi viene reclutato oggi, cioè al futuro della mafia. Cosa nostra sembra in fase di sommersione ma, in base ai molteplici provvedimenti, dimostra che è particolarmente attiva e presente e dialoga con canali innovativi rispetto al passato. L’evoluzione tecnologica riguarda non soltanto i cittadini ma anche le organizzazioni mafiose, che sono ricche e in grado di acquisire know how e strumenti che le consentono di aggirare le azioni investigative dello Stato”. E, a margine, denuncia che la “presenza di telefoni che circolano liberamente all’interno delle carceri non è una novità, purtroppo è un dato ricorrente denunciato da altri colleghi in tutta Italia. Se ci sono i telefonini, ovviamente c’è la possibilità di comunicare”.
