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Pesce stocco: sapere antico, gusto contemporaneo

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L’Italia meridionale, quella marinara e, più in generale l’Italia tutta, ha una storia ricchissima di scambi commerciali e culturali che hanno lasciato segni profondi nel nostro modo di essere, di vivere e di mangiare.
Un segno ancora forte di questa tradizione, che affonda le sue radici in tempi lontanissimi, è lo stoccafisso ovvero “pesce a bastone”.
Nutrizionalmente è un prodotto ipocalorico con pochi grassi ma di elevata qualità, ricco di minerali, vitamine del gruppo B e alti tenori di arginina. Un toccasana per ogni età e per gli atleti.
In insalata, arrosto, a ghiotta, alla mammolese, sono solo alcune delle ricette tradizionali senza considerare le interpretazioni contemporanee di questo alimento tanto amato quanto inviso ma, prima di ogni considerazione, occorre poter distinguere tra pesce stocco e baccalà.
Ricordiamo che a seconda del metodo di conservazione utilizzato, il merluzzo assume denominazioni differenti. È baccalà il merluzzo conservato per salagione mentre è stoccafisso quello essiccato.
Perché scrivo di pesce stocco? Intanto perché in provincia di Messina, la preparazione dello stocco è quasi una religione e poi perché è affascinante approfondire la fase preparatoria atta rendere commestibile il prodotto: operazioni non particolarmente complicate ma ricche di momenti e conoscenza antica.
Una buona analisi parte sempre dall’inizio ma, come per altre tradizioni ormai pienamente assorbite, è praticamente impossibile delinearne nettamente le origini: è certo che già nel 1500 era diffuso il consumo dello stocco che arrivava dalle terre del nord Europa.
Il merluzzo pescato e appeso a bastoni di legno, per esposizione a correnti d’aria fredda e asciutta, in un periodo medio di 3 mesi, arriva a perdere fino al 85% della sua acqua diventando stoccafisso.
Da questo momento può essere tranquillamente conservato per essere utilizzato in qualsiasi periodo dell’anno previo però rinvenimento.
Questo processo consiste in una serie di fasi necessarie a reidratare le carni secche dure dello stocco e trasformarle strutturalmente e organoletticamente.
Il processo di rinvenimento è ormai sconosciuto dai più che preferiscono acquistarlo rinvenuto se non già cucinato perché procedimento lento, perché sviluppa odori pungenti e persistenti perché non compatibile con la quotidianità della gente comune.
Ogni regione ha storicamente sviluppato le proprie tecniche preparatorie. Navigando in rete e rifiutando l’AI overview che, proponendo una sintesi dell’argomento, toglie il piacere della ricerca e azzera la capacità critica dell’utente nello scegliere i contenuti e pesarli secondo i propri criteri, mi imbatto sul sito dell’assessorato all’agricoltura della regione Campania dove viene descritta la metodica di lavorazione denominata “tecnica napoletana” che qui riassumo.
Il pesce secco è immerso in vasche di acqua fredda (siamo sui 4 °C) per almeno due settimane al fine di reidratarlo. L’acqua di concia, così chiamata, viene frequentemente ricambiata.
Per una corretta reidratazione è importante che il rapporto acqua:pesce sia di circa 10:1. Il consumo di acqua risulta quindi notevole.
In questo tempo si attuano, opportunamente cadenzate, le seguenti operazioni:
– scodatura: eliminazione della coda
– sguarratura: divisione in due pezzi ed eliminazione di lische e vescica natatoria
– ammacchiata: sono due operazioni ripetute di ammollo in acqua addizionata di calce alimentare in percentuali definite
– sezionamento: pezzatura del prodotto
– ammacchiata: terzo ammollo in acqua e calce alimentare
-governata: ammollo in acqua addizionata di calce alimentare e bicarbonato di calcio
-spurghi: rinnovo delle vasche di concia
-paiurnata: riposo in acqua pulita per circa 3-4 giorni prima del confezionamento del prodotto ormai pronto.
La particolarità del processo, oltre alla gestione dei tempi, delle quantità e dei ricambi di acqua, prevede l’utilizzo di calce alimentare e bicarbonato di calcio.
Questi additivi hanno funzioni importantissime: fungono da regolatori di pH, da agenti sbiancanti, da antimicrobici, ammorbidiscono le carni mantenendone comunque la consistenza ed evitano lo sviluppo di sostanze che degradano il gusto del prodotto al palato. Degli additivi si può fare certamente a meno ma, in questo caso, il processo richiede un’attenzione nettamente superiore e tempi più lunghi.
È di fondamentale importanza che gli additivi siano ad uso alimentare quindi acquistate solo da produttori fidati e irreprensibili che puntino sempre alla massima qualità per un prodotto che si lasci piacevolmente ricordare nel tempo.
A proposito, a me piace in insalata con cipolla e capperi e a voi?

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(Giovanni Gargano)

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