Sharon Lokedi fissa un nuovo record, ottava vittoria per Marcel Hug
Boston – C’è qualcosa di eterno e inafferrabile nella Maratona di Boston. Forse è il suo tracciato antico, scolpito tra le colline del Massachusetts dal 1897, o forse è la magia di una corsa che ogni aprile richiama l’élite mondiale della corsa su strada, insieme a decine di migliaia di sognatori. La 129ª edizione della Boston Marathon non ha fatto eccezione, regalando al pubblico due gare maschili e femminili dai ritmi altissimi e dai finali spettacolari. A imporsi sono stati due keniani. John Korir, al secondo trionfo in una World Marathon Major dopo Chicago 2024, e Sharon Lokedi, capace di firmare un nuovo primato del percorso davanti a due autentiche fuoriclasse come Hellen Obiri e Yalemzerf Yehualaw.

L’atteso via da Hopkinton è stato segnato da una partenza a ritmi folli, come spesso accade a Boston complice il tratto iniziale in discesa. Ai 5 km il cronometro segnava 14’20”, prologo di un 10 km in 28’52” e di una mezza maratona attraversata in 1h01’52” da un nutrito gruppo di sedici atleti. Tra i nomi più attesi c’erano il campione uscente Sisay Lemma, l’ex vincitore di Boston Evans Chebet, il debuttante sulla distanza Muktar Edris, il kenyano Daniel Mateiko, lo statunitense Conner Mantz e naturalmente John Korir, classe 1996, fratello del più noto Leonard e in crescita costante nelle ultime stagioni. Proprio Lemma, però, è stato il primo grande colpo di scena della giornata. Intorno al 30° chilometro ha alzato bandiera bianca, lasciando il comando a un gruppetto di sei unità. Due chilometri dopo, è arrivato il momento decisivo della gara. Senza preavviso, Korir ha lanciato un attacco violento, secco, nel tratto immediatamente successivo alla Heartbreak Hill. Un’azione che ha fatto subito la differenza. In un attimo sono rimasti in pochi a rispondere, tra cui Felix Simbu, Cybrian Kotut, Mateiko, Edris e Chebet. Ma nessuno ha avuto le gambe per tenere il ritmo dell’atleta kenyano, che ha progressivamente scavato un solco irrecuperabile. Alle sue spalle l’unico a provarci è stato lo statunitense Mantz, capace di rientrare sul secondo gruppetto ma mai davvero in grado di ricucire lo strappo con Korir. Da lì in poi è stata una cavalcata solitaria verso il traguardo. Korir ha chiuso in 2h04’45”, tempo eccellente su un tracciato notoriamente impegnativo, e si è assicurato la seconda Major della carriera. Alle sue spalle, lo sprint per il podio ha visto Felix Simbu prevalere in 2h05’04” su Cybrian Kotut (stesso tempo), con Mantz quarto in 2h05’08”. Ottimo esordio per Muktar Edris, quinto in 2h05’59”.
Se la gara maschile è stata dominata da un unico protagonista, quella femminile è vissuta su un equilibrio tattico sottile per oltre trenta chilometri. I passaggi iniziali sono stati relativamente tranquilli. 16’49” ai 5 km e 32’51” ai 10 km, con il gruppo compatto. L’etiope Amane Beriso, però, ha cambiato le carte in tavola intorno al 16° chilometro con un’accelerazione che ha selezionato il gruppo. Con lei sono rimaste solo le più forti. Yalemzerf Yehualaw, Hellen Obiri, Sharon Lokedi e Irine Cheptai. Alla mezza maratona , passata in 1h08’46”, sembrava una sfida a cinque, ma presto Cheptai ha perso contatto. Al 25° km Beriso e Yehualaw sembravano avere qualcosa in più, tanto da lanciare un nuovo attacco, ma è proprio su Heartbreak Hill che la maratona ha mostrato il suo volto più crudele. Beriso si è piantata, lasciando il comando a un terzetto destinato a contendersi la gloria. Tra il 35° e il 39° chilometro è saltata anche Yehualaw, vittima di un improvviso calo. A quel punto Lokedi e Obiri si sono sfidate spalla a spalla, ma l’atleta di Eldoret ha avuto più energia e determinazione nel tratto finale. La sua progressione è stata inesorabile così Lokedi ha tagliato il traguardo in 2h17’22”, firmando il nuovo record del percorso, migliorando di oltre un minuto il precedente primato della connazionale Rita Jeptoo (2h18’57”, 2014). Hellen Obiri ha chiuso seconda in 2h17’41”, cedendo il passo nel finale dopo due vittorie consecutive, mentre Yalemzerf Yehualaw ha difeso il podio con un solido 2h18’06”.
Nella categoria wheelchair, dominio assoluto dello svizzero Marcel Hug. Il “Silver Bullet”, 39 anni, ha firmato la sua ottava vittoria a Boston, la quinta consecutiva, con un tempo mostruoso: 1h21’34”, rifilando oltre quattro minuti al primo inseguitore, l’americano Daniel Romanchuk.
Tra le donne, successo per la statunitense Susannah Scaroni, che ha confermato il suo stato di forma già mostrato a Tokyo e New York, completando una gara tatticamente impeccabile.
La 129ª Boston Marathon è stata un manifesto della maratona moderna: strategia, esplosività, coraggio e resistenza, il tutto su uno dei tracciati più iconici del mondo. Korir e Lokedi, con due interpretazioni radicalmente diverse della gara, hanno lasciato il segno. Il Kenya, ancora una volta, si conferma terra di maratoneta. Nel cuore del Massachusetts, tra colline e bandiere a stelle e strisce, la leggenda della Boston Marathon continua a scriversi.
