Separazione dei poteri o guerra Istituzionale? Un confronto/scontro che divide l’Italia.
È difficile dire se siamo davanti a sporadici scontri istituzionali o se in effetti ci troviamo in un vero e proprio conflitto tra “Poteri dello Stato”. È difficile anche dire se vi sarà un vincitore, però possiamo affermare che se di conflitto si tratta, lo scontro dura da almeno trent’anni.

La separazione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – è un principio tipico degli Stati liberali, dove i Poteri dello Stato vengono suddivisi tra vari organi, in modo che ognuno di essi abbia una funzione particolare ed autonoma dagli altri.
Questa teoria viene associata al filosofo illuminista francese Montesquieu, che la teorizzò in una delle sue opere più famose: Lo spirito delle leggi (1748).
“Chiunque abbia potere è portato ad abusarne…Perché non si possa abusare del potere occorre che nella disposizione delle cose il potere arresti il potere”.
Montesquieu credeva quindi che solo se il potere fosse stato controbilanciato si sarebbe potuto evitare una degenerazione, dividendo i poteri in modo da garantire la libertà politica e giuridica, poiché ognuno di loro fungeva da limite e contrappeso verso gli altri due.
Generalmente, come avviene in Italia, il potere legislativo rappresenta il potere di fare le leggi e spetta al Parlamento; il potere esecutivo le applica e spetta al Governo e il potere giudiziario che le deve fare rispettare condannando chi le infrange, spetta alla Magistratura.
Senza una collaborazione fra i vari organi si rischierebbe una degenerazione che sfocerebbe in conflitti istituzionali, collaborazione che sembra mancare in Italia, da almeno trent’anni.
Per risolvere, almeno teoricamente, tale conflitto, basterebbe delineare le aree di competenza di ciascun organo di potere, ma né la politica, né la magistratura fanno passi avanti in questo senso.
Raccontare degli episodi di conflitti tra politici e giudici è un’impresa molto ardua, cercheremo di sintetizzare con gli esempi più significativi, partendo dal Presidente Francesco Cossiga.
Uno dei conflitti più rappresentativi è del 1991, quando il Presidente della Repubblica Cossiga, minacciò l’irruzione dei carabinieri a Palazzo dei Marescialli, sede del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), con l’obiettivo di arrestare l’intero organo. E’ stata mobilitata l’Arma che disponendosi nei pressi del palazzo, era pronta ad intervenire, agli ordini del Presidente della Repubblica. Fatto che evidenziò lo scontro con le toghe. Ovviamente si risolse tutto con un nulla di fatto.
Nei periodi precedenti a Cossiga, l’asservimento della Magistratura alla Politica era pressoché palese. La condizione cambiò nel periodo del terrorismo, ribaltando completamente tutto a favore dei giudici, che presero in mano la situazione senza avere intenzione di mollare la presa, cominciando ad invadere sistematicamente l’area di competenza della politica.
Lo scontro tra potere politico e potere giudiziario divenne più forte nel periodo di “Tangentopoli”, azione giudiziaria che smantellò il sistema politico della cosiddetta “Prima Repubblica” e che di fatto sancì la morte del sistema partitico che fino a quel momento aveva governato l’Italia. L’azione giudiziaria ebbe il suo culmine dopo l’autorizzazione a procedere nei confronti del segretario del Partito Socialista Italiano, Bettino Craxi, azione che mise in ginocchio la politica italiana. Dopo poco più di un anno scese in campo il Cavaliere Silvio Berlusconi, amico di Craxi, che fondò il partito Forza Italia, scalò il potere politico, riuscendo, nel 1994, a diventare Presidente del Consiglio dei Ministri (governo formato da Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord). Il nuovo governo si mise subito all’opera, varando un decreto che limitava l’uso della custodia cautelare, adoperata dai giudici del pool di Milano, che gestiva l’inchiesta “Mani Pulite”, della quale uno dei giudici di spicco era il magistrato Antonio Di Pietro. La magistratura reagì e qualche mese dopo, Berlusconi ricevette un avviso di garanzia, che rese fragile il governo da lui guidato, provocandone la caduta.
Nel 1996, il governo Prodi, tentò una riforma costituzionale (anche del sistema giudiziario), costituendo una commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, segretario del PdS. Il tentativo di riforma non ebbe successo per le proteste dei magistrati sulle ipotesi di riforma della magistratura richieste dal centro destra, che non vennero avallate dalla sinistra, che preferì non mollare i magistrati. La magistratura invase il campo della politica.
Nel 2001 Berlusconi tornò al governo e lo scontro con la magistratura si rinvigorì.
“Resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”, erano le parole del Procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli.
Anni di scontri tra Berlusconi e la magistratura, piogge di accuse e imputazioni da una parte e una serie di leggi scudo dall’altra (Lodo Alfano, legge Cirani, legge ex Cirielli, legge Gasparri ecc…). Alla fine, nel 2013, per Berlusconi arrivò una condanna definitiva che portò il Cavaliere ai lavori socialmente utili e all’interdizione dai pubblici uffici.
Gli scontri tra politica e magistratura proseguirono anche con il governo Conte I, soprattutto contro il Ministro degli Interni, Matteo Salvini, ancora sotto processo, che venne accusato di sequestro di persona, dalla Procura della Repubblica di Catania, per aver bloccato lo sbarco di migranti da una nave ONG successivamente assolto.
Neanche Mario Draghi fu esente da scontri con la magistratura, nel caso dell’insurrezione capeggiata dal Procuratore Nicolò Gratteri contro la Riforma Cartabia.
Conflitti che continuano anche oggi con il governo di Giorgia Meloni; da un lato si prepara la riforma della giustizia, voluta fortemente da Forza Italia, che prevede la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e dall’altro si ripete la continua interferenza dei giudici, soprattutto in materia di immigrazione.
“Una politica forte e senza scheletri nell’armadio fa paura a molti” dichiara la Meloni che fa intendere di voler proseguire sulla sua linea e sottolinea come parte del potere giudiziario sia contro la volontà popolare e quindi contro il paese.
Ultimo il caso del generale libico Almasri, che acuisce ancora di più lo scontro.
In conclusione possiamo affermare che se di conflitto tra Istituzioni si parla, è un conflitto che dura da oltre trent’anni. Non si riscontrano fatti oggettivi o volontà, da entrambe le parti, che portino ad una risoluzione di tale problema, delimitando nettamente le aree di competenza di ciascun potere dello Stato.
Giudici e politici avranno la volontà di fissare dei punti fermi oltre i quali non andare, per risolvere il conflitto?
Aspettiamo che la riforma della giustizia venga approvata dal Parlamento per capire quali saranno successivamente le condizioni dei “Poteri dello Stato”.
