Anche quest’anno c’è Sanremo, anche quest’anno ne farò volentieri a meno! Ha stufato, si.

I dati Auditel dicono che si tratta pur sempre di un top player su “Mamma Rai”, con grande seguito fra i cattolici medi praticanti, ma c’è tutta una fetta di utenza, forse anche più grande, che si è rotta le scatole di vedere questo circo pagato con quella tassa chiamata “Canone” che da qualche anno ha fatto capolino nelle nostre bollette.
Il mio personale punto di vista, e me ne assumo la responsabilità, è quello di un musicista trentennale,
praticante e devoto, che ha vissuto il Sanremo romantico e colorato degli anni ’80 e ’90, e che ha visto tramutarsi tutto in qualcosa stracolmo di colori, che risultano però sbiaditi e si tramutano in un gelido bianco e nero chiamato “dimenticatoio”.
Quello che nacque come Gran Festival della Canzone Italiana, comprese immediatamente l’ottimo rapporto che avrebbe potuto esserci fra l’evento in sé e la sua diffusione tramite televisore, e, negli anni, come un fattore fisiologico e naturale, si è tramutato in “qualcosa” per intrattenere.
Con l’evolversi della musica, degli artisti e dell’avanguardia, anche la “spettacolarizzazione” dell’evento nelle TV italiane, avrebbe reso un programma già di suo “popolare”, “ultrapopolare”. Le energie delle entità grigie del Festival si sono dunque concentrate su chi si vuol gettare dalla balconata, chi urla ai brogli, sulla farfalla di Belen, su Mike Tyson, su quell’individuo che prende a calci i fiori per lanciare l’immagine di Gianni Morandi, che umilmente spazza il palco…
Ma dai… ragazzi, esiste il teatro per queste cose. Perchè ogni anno dovete tramutare una storica gara canora in un baraccone del circo con tante attrazioni? Non ricordo alla perfezione tutte le edizioni dal ’78 in poi, per cui mi sono aiutato col web per poter citare dati più precisi nonché verificabili: 1995, Pippo Baudo è incazzato in diretta perchè Elton John ha rifiutato l’invito; 1995, il tizio che si vuol buttare dalla balconata e Pippo Baudo lo salva; 1992, Cavallo Pazzo irrompe gridando che il festival è truccato; 1983, Vasco Rossi lascia il palco mentre ancora va avanti la base con la sua voce registrata; 1986, Loredana Bertè arriva sul palcoscenico col pancione finto. E voglio tagliare corto con il 2012 e la farfalla di Belen, ma ci sarebbe tanto altro materiale, se andate a sbirciare gli annali lo troverete di certo.
Hanno tramutato Sanremo in qualcosa di assurdo, con gente sempre più truccata, travestita, maleducata e con canzoni che vengono dimenticate nel giro di 12 minuti, mentre io mi canto ancora a memoria “Perdere l’Amore” di Massimo Ranieri (’88).
Capisco bene che è un evento sociologico, sociale, social, visto che vengono coinvolte le persone da casa in un assurdo rituale chiamato “Televoto”, fino ad intimarti di scaricare l’App, altrimenti sei perduto per sempre. Ma non fate caso al mio astio di natura traumatica, ho avuto un’infanzia difficile circondato da impresari locali che ti promettevano l’assoluta partecipazione al festival se gli davi 50 milioni di lire…
Alcune leggende fantozziane narrano di un imprenditore che avrebbe promesso il terzo posto sull’Ariston per 170.000€. Questo business nero, oscuro intorno al festival si è divulgato a macchia d’olio in tutta Italia, immaginate cosa ci sarà stato a Napoli fra l’80 ed il ’95 a livello di truffe a poveri innocenti.
Tutto ciò ha creato le basi della mia diffidenza nei confronti dell’intero baraccone. Consiglio comunque di seguirlo, chissà non avvenga il miracolo che producano qualcosa di culturalmente valido. Importante è sempre confrontarsi con l’Arte, e, subito dopo, confrontarsi sull’Arte. Io, anche per questa volta, passo. Ma non è escluso che si torni insieme sull’argomento, perchè… Sanremo è Sanremo.
